Viaggio in Italia #06 – “La lottatrice di sumo” di Giorgio Nisini

Sinossi (dalle note di copertina): Giovanni Cadorna è un fisico alla soglia dei cinquant’anni. Dopo il successo raggiunto con la pubblicazione di un libro, scettico sulla possibilità della vita oltre la morte, inizia a dubitare delle proprie certezze in seguito al ritrovamento di un dipinto che lo costringe a fare i conti con il passato e il ricordo di una donna, scomparsa tragicamente trent’anni prima. Decisivo, all’interno di un intreccio costantemente in bilico tra ossessione e raziocinio, ragione e occulto, risulterà l’incontro con Olga, figlia dell’artista esoterico presunto autore dell’opera, che, insieme ad altre figure femminili cariche di significato, darà vigore alla storia fino allo scioglimento della vicenda personale e familiare del protagonista come del mistero legato al quadro.

Non avevo mai letto nulla di Nisini e confesso che, se non fosse stato per un’offerta lampo online, probabilmente avrei continuato a non leggerlo. Il motivo? Ne avevo sentito parlar bene su Twitter. Mi spiego meglio: spesso chi parla di libri da quelle parti, legge solo capolavori e usa esclusivamente superlativi assoluti quando deve parlare di scrittori e di letteratura. Per una sorta di effetto paradosso, quindi, se di un libro o di un autore che non conosco si parla troppo e bene, io sono portato a collocarlo all’estremo opposto della scala di valori: di default. Direte che si tratta di un atteggiamento snob, e magari lo è. Ma, dal mio punto di vista, è principalmente una forma di legittima difesa e anche una silenziosa vendetta verso chi dice di amare la lettura e poi fa strame del significato delle parole, usandole in maniera sciatta, quando non francamente volgare. Debbo riconoscere, però, che nel caso de La lottatrice di sumo, questo pregiudizio mi avrebbe fatto commettere un errore, perché l’opera di Nisini è stata davvero una bella sorpresa.

Quasi nessuno sa che la vita, apparentemente di successo, di Giovanni Cadorna è stata Nisinisegnata da un evento terribile, verificatosi quando aveva una ventina d’anni: la perdita del suo grande amore Margherita in un tragico incidente. Poco prima di morire, la ragazza gli aveva regalato un quadro intitolato La lottatrice di sumo. Dopo un comprensibile periodo di sbigottito isolamento, Giovanni trova la forza di reagire. Diventa un fisico, sposa Maria Carla, una donna molto diversa da Margherita, diventa padre di Federica. Di Margherita non ha parlato con nessuno, né alla moglie, cui aveva raccontato “una versione molto sommaria della vicenda”, né alla figlia. Pensa di vivere a bordo di “una nave solida con cui esplorare il mondo”, ma col tempo si accorge che l’equilibrio che si illude di aver raggiunto lo ha in realtà bloccato in uno stato di immobilità emotiva in cui “l’unico punto di fuga restava il mio lavoro, una sorta di porto franco in cui mi liberavo da tutte le tensioni coniugali e da tutte le responsabilità di padre”. Neanche quando vince una cattedra universitaria, riesce a essere soddisfatto: “non ero un uomo felice, e forse in qualche angolo nascosto di me sapevo di non esserlo, eppure m’illudevo di aver raggiunto qualcosa che rassomigliava alla felicità”. Questa sorta di limbo, di “museificazione” della sua esistenza, dura fino alla separazione da Maria Carla, quando Federica raggiunge la maggiore età. Lontano dalla figlia e dalla moglie riesce finalmente a guardarsi dentro, a prendere coscienza della sua “sensibilità verso il passato” e, durante l’estate successiva alla separazione, scrive un saggio dal titolo Dietro il nulla. L’esperienza della morte e la solitudine umana, “una provocatoria negazione della vita ultraterrena”, che ha un inaspettato successo. Giovanni non immagina che quel pamphlet che lo aveva aiutato a “venir fuori da un momento di grande confusione emotiva”, lo porterà a “rimettere completamente in gioco” la sua vita. Durante una presentazione del libro, infatti, una donna gli chiede “cosa pensa di Massimo Golem”. Giovanni, che ha sentito qualcosa su questo “artista veggente che utilizzava la pittura come una forma di comunicazione con i morti”, risponde in maniera piuttosto generica alla domanda, ribadendo però che “una persona defunta semplicemente non esiste più”. Tornato a Roma, tuttavia, decide di approfondire l’argomento, scoprendo che Golem aveva fondato una comunità e che il suo capolavoro, che nessuno ha mai visto né sa dove si trovi, si intitola La lottatrice di sumo: proprio come il quadro che Margherita gli regalò prima di morire.

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Giorgio Nisini

Senza aggiungere troppi dettagli, che lascio scoprire al lettore, da qui inizia un viaggio che pur rimandando esplicitamente al mito di Orfeo, lo legge in una chiave più moderna e intimista. Perché, a ben vedere, l’Ade in cui scende Giovanni per riprendersi Margherita, è la sua memoria, da cui aveva rimosso non solo i ricordi legati a quell’amore, ma anche parti importanti di sé, con il risultato di vivere gli ultimi trent’anni senza troppa consapevolezza, senz’anima, quasi fosse egli stesso un golem. La crisi in cui piomba Giovanni è legata alla dicotomia lacerante per cui, se da un lato è razionalmente convinto che non vi sia nulla dopo la morte, dall’altro è colto dall’improvvisa e urgente necessità di tornare a comunicare con Margherita, arrivando a credere che quel quadro sia un tramite, un passaggio, una porta. Un viaggio che gli consentirà di capire che spesso “ciò che stiamo cercando” si nasconde “dentro di noi, nel nostro passato”, e di fare finalmente i conti con “i sentimenti che non era riuscito a provare” il giorno in cui il padre gli aveva dato la notizia dell’incidente. Di scoprire che quel blocco era dovuto anche al fatto che la morte aveva cristallizzato quell’amore allo stadio di pura potenzialità, impedendogli di scolorire per il tramite dell’abitudine, della quotidianità, o semplicemente dei cambiamenti legati alla crescita individuale. Insomma, uscito dall’Ade solo, proprio come l’immagine di copertina del suo saggio che ritrae “Orfeo che, senza nessuno alle spalle, risaliva il regno dei morti”, Giovanni comprende che Margherita è stata trasfigurata dal suo stesso destino, più che dai sentimenti che lo legavano a lei, e che sia scrivere Dietro il nulla, che inseguire risposte occulte e ultraterrene alle sue domande, erano stati solo un tentativo speculare e approssimato di elaborare il dolore legato alla sua scomparsa.

Una bella sorpresa, dicevo. Ho apprezzato la scrittura di Nisini: nitida, precisa, esatta; l’estremo controllo sullo stile, che mantiene un ritmo costante senza rincorrere l’intreccio; la naturalezza con cui viene introdotto l’elemento occulto, accompagnando il lettore verso la sospensione dell’incredulità anche attraverso l’utilizzo di una doppia linea narrativa in cui ai capitoli narrati da Giovanni in prima persona, si alternano quelli che illustrano la storia di Olga, in terza persona. Un artifizio che gli consente di aumentare con gradualità ed efficacia la tensione del racconto, senza forzature ed esagerazioni. Tutti elementi che mi hanno portato ad accostarlo ad alcuni autori giapponesi contemporanei che apprezzo particolarmente, come la Ogawa e Murakami, rispetto ai quali, tuttavia, l’utilizzo dell’elemento soprannaturale mi è parso più misurato e, direi, motivato, limitandosi a una suggestione che alla fine si risolve, opportunamente, in un ritorno al registro realistico.

D’altronde sono convinto che l’unica immortalità cui possiamo ambire è quella che ci consente di continuare ad abitare il cuore di chi ci ha amato. E, a giudicare dalla dedica del libro, anche l’Autore sembra pensarla così.

E su questo non ho altro da dire.

#fallabreve: Il passato si nasconde dentro di noi. E anche il futuro.
“La lottatrice di sumo” di Giorgio Nisini
Fazi, 2015
pp. 316
€ 18,00 (eBook € 4,99)

Foto dell’Autore tratta da http://www.altritaliani.net/spip.php?article773