“Un’Odissea” di Daniel Mendelsohn

Una sera di gennaio di qualche anno fa, poco prima che iniziasse il semestre nel quale avrei tenuto un seminario sull’Odissea per gli studenti del primo anno, mio padre, ricercatore scientifico in pensione allora ottantunenne, mi chiese […] di seguire il mio corso, e io gli dissi di sì.

Prendendo spunto da questo seminario (e dalla successiva crociera nel Mediterraneo a tema: Sulle tracce dell’Odissea), Mendelsohn costruisce un racconto che riconosce due centri di gravità: l’analisi del testo omerico e, in particolare, della figura di Odisseo, e un memoir familiare incentrato sulla figura del padre, Jay.

Insomma, come già avvenuto col precedente, e bellissimo, Gli scomparsi, Mendelsohn intraprende un  nostos. Qui, però, non va alla ricerca di quel che rimane delle proprie radici, delle tracce della reale esistenza di uomini e donne che sono diventati puri nomi, quasi dei fantasmi. Stavolta il viaggio ha come scopo quello di rispondere alla domanda che più volte si è fatto pensando al padre: “chi è quest’uomo?”. E si tratta di un viaggio non meno complicato del primo, volendo colmare, rispetto alla figura paterna, la “differenza fra ciò che siamo e ciò che gli altri sanno di noi” e di doverlo fare prima che sia troppo tardi. La lettura dell’Odissea, e la successiva crociera, sono l’occasione per Mendelsohn di vedere il padre sotto punti di vista inconsueti, se non del tutto nuovi, prospettive che ne arricchiscono la complessità e interrogano il figlio su quanto, in realtà, possiamo conoscere i nostri genitori.

Quante facce aveva mio padre, mi domandai, e qual era quella “vera”? […] I figli presumono sempre che il vero sé dei loro genitori sia quello di genitori, ma perché? […] I nostri genitori sono misteriosi ai nostri occhi in modi in cui noi non potremo mai esserlo per loro.

Davvero divertente è il corpo a corpo che Jay, durante le lezioni, ingaggia immediatamente con Odisseo che, a suo dire, non è un vero eroe “perché […] è un bugiardo e tradisce la moglie!”, cosa inaccettabile per lui. In primo luogo perchè: “se c’era una cosa che tutti sapevano di mio padre, era che non diceva mai bugie”. E poi per il metro che usava per giudicare se stesso e gli altri: “aveva standard elevati per quasi tutto”.

A causa di quei suoi standard così elevati – o piuttosto a causa del fatto che poche persone ne erano all’altezza – nella sua vita c’erano dei buchi là dove un tempo c’erano state persone.

Che Odisseo sia “l’unico a tornare a casa vivo” delle centinaia di uomini che lo accompagnavano è, per Jay, ulteriore motivo di malcelata diffidenza, come pure è insopportabile “il fatto che piangeva”, comportamento ritenuto inconciliabile con l’eroismo. Eppure, fra Odisseo e Jay, ci sono anche elementi di comunanza, meno numerosi ma forse più profondi delle differenze, uno su tutti:

[L’Odissea] fra le altre, pone la questione di quali potrebbero essere i tratti di un eroe quando non ci sono più guerre da combattere. […] Una delle domande sollevate dall’Odissea è: in che cosa consiste un eroismo della sopravvivenza?

Se la “sopravvivenza” è uno dei canoni dell’eroismo, infatti, Jay è davvero un eroe, perché ha vissuto tutta la propria esistenza come una continua lotta in un mondo “inospitale, ostile alla felicità delle persone normali”. Purtroppo, però, come la crociera non poté toccare Itaca (il canale di Corinto era chiuso per uno sciopero), anche la domanda di Mendelsohn troverà una risposta solo parziale, visto che il padre,  poco dopo la fine del viaggio, si ammalerà e morirà.

Chi è quest’uomo?, mi chiesi ancora una volta, e mi resi conto che non avrei potuto più trovare una vera risposta.

In conclusione, un buon libro che, però, nonostante le ottime premesse, non raggiunge l’intensità emotiva che Mendelsohn aveva toccato ne Gli scomparsi. Come dice il bambino incontrato in crociera, infatti, “ci sono un bel po’ di ripetizioni” e anche alcune digressioni mi sono parse francamente superflue. Probabilmente il piano letterario (l’analisi dell’Odissea) e quello del memoir si intrecciano con eccessiva frequenza, e questo disinnesca con irritante puntualità lo sviluppo di qualsiasi climax narrativa ed emotiva. Un vero peccato, perché la figura del padre, che mi ha ricordato quella di Hermann Roth in Patrimonio, è davvero memorabile.

E su questo non ho altro da dire.

Un’Odissea di Daniel Mendelsohn
Titolo originale: An Odyssey. A Father, a Son, and an Epic
Einaudi, 2018 (2017)
Traduzione di Norman Gobetti
pp. 307
La mia valutazione su Goodreads: