“Sembrava una felicità” di Jenny Offill

In una vorticosa carrellata di quarantasei brevissimi capitoli l’Autrice racconta la storia di una giovane donna che vorrebbe dedicarsi esclusivamente alla carriera di scrittrice e che invece si ritrova sposata, con una figlia e, a un certo punto, tradita dal marito. Ed è proprio all’interno della descrizione della duplice esperienza della genitorialità e del tradimento che si colloca il baricentro emotivo del romanzo. Chiunque abbia avuto un bambino non potrà non riconoscersi nella “fame” di sonno legata alle notti  in bianco (“se sapessi fare la telecinesi, manderei questo cucchiaio a imboccarla”), o nella difficoltà di accettare l’apparente riduzione della propria vita alla funzione parentale (“una volta parlavamo di libri e di persone, ora invece solo dei rispettivi figli”). Ma altrettanto facilmente si ritroverà nella scoperta di un modo di amare del tutto nuovo, istintivo, ancestrale (“il profumo dei suoi capelli. Quel modo di stringermi la mano intorno alle dita. Era come una medicina. Per una volta, non dovevo pensare. Prevaleva l’animale”), una scoperta che si accompagna alla comprensione retrospettiva dello sguardo con cui, nelle vecchie foto, i nostri genitori guardavano noi mentre ci tenevano in braccio o ci facevano giocare, quella “espressione di amore puro” che adesso è la nostra: “ora c’è una mia foto dove ho lo stesso identico sguardo”.

La scelta di rinunciare a coltivare il sogno di diventare un “mostro d’arte” è faticosa e non priva di ostacoli e ripensamenti (“c’è ancora un vuoto nel mio cuore. Pensavo che amare tanto due persone lo avrebbe riempito”), ma è la scoperta del tradimento che sembra trasformare tutto in un unico, enorme errore. Questo è il secondo momento chiave del libro, marcato dal passaggio della voce narrante dalla prima alla terza persona, quasi a significare la riduzione della protagonista da individuo a ruolo: la “moglie”. Anche qui la Offill riesce a trovare accenti di toccante sincerità come quando, di fronte a chi le chiede “come hai potuto non capirlo?” la “moglie” risponde: “non c’è niente che mi abbia sorpreso di più in tutta la mia vita”, oppure quando, annichilita dal dolore, dice al marito: “Speravo di esserci anch’io nel tuo ricordo più bello”. Una frase che definisce, con chirurgica esattezza, il vuoto creato da un desiderio tanto apparentemente semplice quanto ormai impossibile da realizzare.

Non c’è lieto fine in questa storia, ma solo l’avvio di un percorso difficile e dall’esito non scontato. Un percorso impossibile da definire a priori, perchè di fronte a crisi così profonde e squassanti non ci sono termini di riferimento e ci si ritrova come quando, “da piccoli, non si sa il nome delle cose”. “Non avresti dovuto portarci sull’orlo del baratro” dice a un certo punto la protagonista, parole in cui il dolore è così puro e distillato da trasfigurare tutta la rabbia e il rancore in una amarezza di glaciale definitività.

Una prova narrativa interessante, questa della Offill, il cui limite principale sta nella ricerca insistita, e a mio avviso un po’ forzata, della “letterarietà” a tutti i costi. Mi riferisco, ad esempio, alla messe di citazioni sparse a piene mani nel testo precedute da un irritante “come diceva”, o anche allo stesso passaggio della voce narrante dalla prima alla terza persona. È probabile che, almeno in parte, si tratti di scelte legate alla necessità di creare una certa distanza rispetto a una vicenda chiaramente, e si presume dolorosamente, autobiografica. Ritengo, tuttavia, che senza il ricorso a questo “birignao” da scrittura creativa il libro ne avrebbe guadagnato. Molto.

E su questo non ho altro da dire.

 

#fallabreve: Pensavo fosse una felicità, e invece era un calesse.

 

Sinossi
Il ritratto di una donna, ma soprattutto una riflessione sui misteri della coppia, dell’intimità, della fiducia e dell’amore. L’eroina della Offill è una giovane scrittrice che vorrebbe diventare un mostro di scrittura. È una donna che non si vuole sposare e che invece s’innamora e si sposa e ha una figlia. Col tempo vede le proprie ambizioni andare in stallo, la maternità trasformarsi in una nuova forma di solitudine e il matrimonio vacillare per un tradimento. Nella sua ostinata ricerca della felicità deve affrontare lo smarrimento, la rabbia, la gelosia e i cambiamenti, per ritrovare quello che è stato perso, cosa è rimasto e che cosa desidera adesso. Una vita come tante, all’apparenza, raccontata con un linguaggio che brilla di arguzia e feroce ironia, in un romanzo che in certi momenti sembra un diario, in altri un mémoire, in altri ancora un flusso di coscienza inarrestabile. Intercalando sapientemente citazioni di Orazio, Socrate, Coleridge e Berryman, nozioni di scienza e pillole di filosofia, questa storia d’amore venata di suspense ha la velocità di un treno che sfreccia nella notte.

 

Sembrava una felicità di Jenny Offill
Titolo originale: Dept. of Speculation
NN, 2015 (2014)
Traduzione di Francesca Novajra
pp. 163
€ 16,00 (eBook € 7,99)
La mia valutazione su Goodreads:

 

 

Fonti iconografiche:
Al centro dell’immagine Jenny Offill ritratta da Patrick Morgan (da www. newyorker.com).
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