“Questa vita tuttavia mi pesa molto” di Edgardo Franzosini

Sinossi (dalle note di copertina): Ciò che fa di Edgardo Franzosini uno scrittore diverso da qualsiasi altro è la sua capacità di raccontarci storie vere di personaggi, generalmente poco noti, che sembrano inventati per quanto sono fuori del comune. In questo libro Franzosini ci regala un’altra delle sue ipnotiche “vite immaginarie” percorrendo, con quella visionarietà e quella levità che lo contraddistinguono, la breve, singolare esistenza dello scultore Rembrandt Bugatti (fratello di Ettore, il fondatore della casa automobilistica, il quale sceglierà proprio il suo Elefantino danzante per il tappo della lussuosissima Bugatti Royale), divenuto celebre negli anni Dieci del Novecento per i suoi bronzi raffiguranti animali, di preferenza non domestici: tigri, giaguari, pantere, elefanti, leoni… Con gli animali Bugatti ha sempre vissuto in una sorta di struggente empatia, passando ore e ore davanti alle gabbie del Jardin des Plantes, a Parigi, o negli splendidi edifici orientaleggianti dello zoo di Anversa, a guardarli vivere, muoversi, mangiare, soffrire – identificandosi totalmente con loro. Al punto da subire un autentico shock allorché, di fronte alla minaccia dei bombardamenti tedeschi, le autorità del Belgio decisero di sterminare tutte le bestie dello zoo.

 

Questa VitaQuesta bizzarra, e a un tempo incantevole, biografia di Rembrandt Bugatti è un piccolo gioiello. Rifuggendo programmaticamente qualsiasi pedanteria enciclopedica, così caratteristica del genere, Franzosini concentra il suo, e il nostro, sguardo sugli ultimi anni della pur breve vita di questo scultore, fratello minore del più famoso Ettore, quando è già “piuttosto noto in Francia, in Italia, in Belgio”. Notorietà dovuta alla “eccezionalità del rapporto fra Rembrandt e i suoi modelli”, alla “conoscenza esatta delle abitudini e dei comportamenti degli animali: sembra che abbia vissuto con loro, che possa comprenderne ogni movenza e ogni espressione”. In effetti Bugatti passa moltissimo tempo a studiare i suoi soggetti, ossessionato dal desiderio “«imperioso, quasi bruciante» – è lui stesso a definirlo così – di appagare il proprio sguardo con la visione della vita animale che si svolge al di là delle sbarre e delle recinzioni” che si trovano al Jardin des Plantes di Parigi o allo zoo di Anversa. “Rembrandt si sente a proprio agio solo in mezzo agli animali, solo a contatto con quella comunità senza parole”, “guarda con invidia alla loro beata inconsapevolezza”, confessa alla madre che, quando li fissa negli occhi, gli sembra di rendersi “perfettamente conto delle loro gioie e delle loro pene”.

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Rembrandt Bugatti

Studia con estrema concentrazione la bestia che ha di fronte, “quasi volesse comprendere la natura dei suoi pensieri, anzi, quasi volesse mettersi nella sua pelle”. Sembra invidiare la semplicità e la rassicurante schematicità di una vita che, almeno apparentemente, “non richiede una quantità enorme di apprendimento, non richiede sforzi lunghi e complessi”. In quelle fiere è come se cercasse la sincerità e la verità che non trova nei rapporti sociali, e lo fa con una determinazione così feroce da sembrare quasi disperata. Nelle giornate trascorse osservando quegli animali “a cui è stato tolto il piacere del sangue, il gusto di sbranare”, aspetta di cogliere un lampo selvaggio in uno sguardo o una movenza, di attraversare l’“invisibile confine” che da essi lo separa, prima che la cattività inghiotta nuovamente ogni istinto in “un’espressione di rassegnata, calma tristezza”. La sua, è un’arte che si basa sull’attesa e sull’osservazione, visto che ignora “tutto dell’anatomia dei suoi modelli” e si fida “solo della precisione del proprio occhio”. È ossessionato dall’idea di riuscire a rendere plasticamente il movimento dei suoi modelli: “come si acquattano […]. Come si inarcano flessuosi. Come scuotono le corna e picchiano con le zampe sul terreno. Come si dibattono e si contorcono per qualcosa che gli provoca sofferenza”. Quando ritiene di aver visto abbastanza, inizia a modellare l’argilla “con colpi di pollice veloci, sicuri, senza ripensamenti”.

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Rembrandt Bugatti: Due fenicotteri (1912)

Franzosini, come inseguendo una perfetta mimesi con l’oggetto del suo narrare, sembra aver utilizzato la stessa tecnica per costruire questa biografia così atipica. Si intuisce come dietro la leggerezza così eccentrica del suo tono, dietro la semplicità rotonda della sua scrittura, vi sia un grande lavoro di accumulazione, di interiorizzazione e di successiva sottrazione. L’Autore sceglie di descrivere incontri occasionali se non del tutto marginali (non a caso la prima e l’ultima persona con cui parla Bugatti è Madame Soulimant, la sua portinaia al numero tre di rue Joseph-Bara); ci racconta episodi non collegati fra loro; fa solo sporadici e brevi cenni alla sua vita familiare, dominata dall’amatissimo fratello Ettore, fondatore dell’omonima casa automobilistica passata alla storia per la bellezza e l’eleganza delle sue vetture, e a cui gli unici animali che interessano “sono i cavalli vapore” (il titolo del libro, sublime, è tratto da una lettera in cui Rembrandt lo ringrazia per del denaro che gli aveva spedito). Insomma, è come se, dopo aver faticosamente e pazientemente costruito un ritratto completo di Bugatti, dopo averne completato il puzzle, Franzosini, seguendo una sua personalissima mappa, avesse poi deciso di eliminare un gran numero di tessere, lasciandone solo quel numero sufficiente che consentisse a lui di rendere, nella fissità della pagina scritta, il movimento della fugace traiettoria esistenziale di Rembrandt Bugatti, e al lettore di coglierne l’essenza. Ne viene fuori l’immagine vivida, reale, e a tratti struggente, di un uomo puro, affatto inadeguato ad affrontare le mediocrità e i compromessi della vita, e che pure ingaggiò con essi una personalissima e stralunata battaglia, da cui non poté che uscire sconfitto.

Un piccolo gioiello, appunto.

E su questo non ho altro da dire.

 

#fallabreve: Una vita. Senza istruzioni per l’uso.
“Questa vita tuttavia mi pesa molto” di Edgardo Franzosini
Adelphi, 2015
pp. 117
€ 12,00 (eBook € 5,99)