Preferisco il fronte! – “È il tuo giorno, Billy Lynn!” di Ben Fountain

Durante la guerra in Iraq la squadra Bravo, composta da dieci elementi (fra cui il nostro Billy Lynn), ingaggia un violento conflitto a fuoco. Per caso una troupe televisiva riprende l’azione trasformando istantaneamente dei militi, più o meno ignoti, in eroi. La macchina propagandistica politico-militare non si lascia sfuggire l’occasione e, allo scopo di risvegliare un’opinione pubblica sempre più distratta e perplessa nei confronti di una guerra ormai troppo lontana (l’undici settembre è un ricordo abbastanza vago), richiama in patria tutta la squadra per un Victory Tour. Dopo due settimane di incontri in varie città, l’evento clou li vedrà ospiti d’onore della partita di football americano che si gioca a Dallas nel Giorno del Ringraziamento. Qui fra un produttore cinematografico in cerca di capitali, un losco tycoon di pochi scrupoli, cheerleaders ammiccanti per contratto e addirittura Beyonce e le Destiny’s Child, i nostri soldati passano le ultime ore di licenza “premio” prima di essere imbarcati sull’aereo che li riporterà in Iraq.
È il tuo giorno, Billy Lynn è uno dei più bei libri sulla guerra che abbia letto dai tempi di Inseguendo Cacciato di O’Brien o di Comma 22 di Heller (per tacer di Mattatoio n. 5 di Vonnegut). E se dovessi pensare a delle associazioni cinematografiche citerei, per motivi affatto diversi, M*A*S*H di Altman e Apocalypse now di Coppola.
Protagonista assoluto della storia è il diciannovenne texano William “Billy” Lynn che, dopo una bravata, in alternativa al carcere viene sbattuto al fronte, un mondo in cui la “differenza fra la vita, la morte e una ferita tremenda” sono legate alle scelte più casuali, “come chinarsi ad allacciarsi una scarpa, scegliere il terzo cesso della fila invece del quarto, voltare la testa a sinistra anziché a destra”.
Billy rientra in patria da eroe (anche se a termine), ma capisce subito che qualcosa non quadra. Però capisce altrettanto presto che è chiamato a “recitare bene la propria parte”. Per cui non può dire a chi glielo chiede (e sono in tanti) che il gesto eroico che gli viene attribuito “è stata una merda orrenda” e che non è stato né voluto, né cercato, ma che piuttosto “è stato il gesto eroico a venire da lui” e che “quello che teme come un cancro al cervello è che il gesto eroico torni a cercarlo di nuovo”.
In un’agnizione inesorabile che mette a dura prova la sua stessa sanità mentale, “non riesce ad evitare di vedere i suoi connazionali come dei bambini”, arroganti, superbi e sicuri di sé. “Gli americani sono bambini che devono andare da qualche parte a crescere, e a volte a morire”. “Hanno un desiderio disperato di credere… come bambini che insistono che Babbo Natale esiste davvero, perché se smetti di crederci… forse non ti porta più regali”.
Eppure, in un vortice di situazioni più o meno paradossali (e con un mal di testa sempre più lancinante, somatizzazione di un ben più profondo dolore morale), Billy capisce anche che “alla gente tutta quella falsità non fa né caldo né freddo, forse perché l’ininterrotta propaganda commerciale” ha innalzato moltissimo la soglia di “tolleranza per le simulazioni, le gonfiature, le distorsioni, le stronzate e le vere e proprie menzogne, in altre parole per la pubblicità in ogni sua forma”. D’altronde è ancora sufficientemente ingenuo e onesto per riconoscere che è dovuto andare al fronte per accorgersi di tutto questo.
Per colmo d’ironia, non bastassero lo sconforto e la desolazione, alla fine del Victory Tour, Billy avrà anche una nuova paura da cui difendersi. Quella di non riuscire a “superare altri undici mesi di quella roba” perché ormai nella testa si è insinuata una perniciosa domanda: “imparare quello che va imparato in guerra, fare quello che va fatto, non ti rende nemico di tutto ciò che ti ci ha mandato in guerra?”.
E così, alla fine di una giornata da incubo, Billy e i suoi compagni si trovano proiettati in una realtà completamente capovolta, senza alcuna bussola che possa farli orientare in quel deserto morale e culturale che è l’America (“diventata un gigantesco centro commerciale con una nazione accanto”). Ed ecco allora che, per colmo d’ironia, è proprio la guerra con la sue regole semplici e terribili a un tempo (perché in fondo o sei vivo, o sei morto) a riguadagnare senso, a diventare un orizzonte percorribile, e questi ragazzi, sull’enorme limousine bianca che li riporta al fronte, arrivano a dire a chi li accompagna: “Portateci al sicuro. Riportateci in guerra”.
Riusciranno i nostri eroi a sopravvivere? Non è dato saperlo. Nessuna rassicurazione, nessun lieto fine attende il lettore. Sappiamo solo che per i ragazzi della squadra Bravo il futuro è soltanto “un totale buco nero di speculazione futile”.
E su questo non ho altro da dire.

#fallabreve: Dite che la guerra non ha senso. E tutto questo, allora?
“È il tuo giorno, Billy Lynn” di Ben Fountain
Minimum Fax 2013 (2012)
Traduzione di Martina Testa
pp. 398
€ 17,00

(Data di prima pubblicazione su ifioridelpeggio.blogspot.it: 13/05/2014)