“Little Boy” di Lawrence Ferlinghetti

Pur avendo approcciato la lettura con tanta buona volontà, confesso che il mio giudizio finale su questo libro è rispettosamente, ma fermamente, negativo. Si fosse trattato di un romanzo coevo alla temperie della beat generation, avrebbe avuto almeno un valore documentale. Qui, però, stiamo parlando di un libro pubblicato nel 2019, in occasione del centesimo compleanno di Ferlinghetti: il discorso cambia e il giudizio pure. Mi riesce infatti difficile apprezzare oggi un’opera che si autodefinisce sperimentale solo per il fatto di simulare un quasi ininterrotto flusso di coscienza e per aver eliminato pressoché del tutto la punteggiatura (e non si ringrazierà mai abbastanza la benevolenza di Giada Diano che, nelle frasi in cui, in inglese, l’inversione fra soggetto e verbo e l’uso dell’ausiliare, rendevano evidente la frase interrogativa, ha usato il punto interrogativo!): siamo ancora a questo?

Boh, alla fine si conferma la mia personalissima idiosincrasia per la gran parte degli scrittori della beat generation: viverla (e sopravvivervi) deve essere stato molto divertente. Ma la letteratura che ha prodotto è, a mio avviso, piuttosto scadente, ripetitiva e, soprattutto, terribilmente datata.

E su questo non ho altro da dire.

Little Boy di Lawrence Ferlinghetti
Titolo originale: Little Boy
Edizioni Clichy, 2019 (2019)
Traduzione di Giada Diano
pp. 237
La mia valutazione su Goodreads:

2