“Intransigenze” di Vladimir Nabokov

Il volume, curato dallo stesso Nabokov, raccoglie un’ampia selezione di interviste ed è completato da alcune lettere a direttori di riviste e, infine, da qualche articolo, anche sull’entomologia, sua grande passione. Intervistare lo scrittore non era cosa semplice: il temerario doveva inviare le domande in anticipo, le risposte erano preparate in forma scritta e, comunque, Nabokov si riservava l’ultima parola prima della pubblicazione, per accertarsi che neanche una virgola delle sue parole fosse stata cambiata. Poiché alcune domande erano ricorrenti, è inevitabile che anche le risposte contengano qualche elemento di ripetitività, ma si tratta di un peccato davvero veniale di fronte ai numerosissimi spunti interpretativi su gran parte delle sue opere (che mi riprometto di leggere, essendomi fermato, lo confesso, a Lolita), e ai gustosi cenni sul processo creativo e quel “mondo privato” di cui è “dittatore assoluto”. In più punti, poi, sollecitato dagli intervistatori, Nabokov elogia i suoi autori preferiti e, per contrasto, circoscrive “quell’elogio segnalando al lettore gli spauracchi e gli impostori che [predilige] nel mausoleo della falsa fama”. 

Si assiste così alla esposizione di un personalissimo pantheon letterario, abitato più da singole opere che da autori. Per questo, accanto all’esaltazione dell’Ulisse (“un’opera d’arte divina” che “continuerà a vivere a dispetto delle nullità accademiche che lo trasformano in una congerie di simboli o miti greci”), troviamo la stroncatura senza appello del Finnegans Wake (“una massa informe e opaca di folclore fasullo”). Di Tolstoij salva Anna Karenin (senza la “a” finale), ritenuto il “supremo capolavoro della letteratura dell’Ottocento”, ma giudica Guerra e pace un “brioso romanzo storico scritto per quella creatura amorfa e malferma che va sotto il nome di ‘lettore medio’”. Non meno sorprendenti le sue idiosincrasie che comprendono, fra gli altri: Thomas Mann (messo nell’elenco degli “scrittori gonfiati” e dei “grandi” di second’ordine) e la sua “asinina” Morte a Venezia, William Faulkner con le sue “pannocchiesche cronache” e, udite udite, Dostoevskij di cui detesta “ardentemente I fratelli Karamazov e quella atroce litania che è Delitto e castigo”, mentre salva Il sosia, che considera la sua opera migliore (pur ritenendola “un’evidente e spudorata imitazione del Naso di Gogol”). È evidente che, non essendo espressi in recensioni o saggi, siamo di fronte a giudizi più o meno lapidari, che occorrerà approfondire leggendo le sue Lezioni di letteratura. Fino ad allora, però, siamo costretti a subire una continua doccia scozzese: infatti, non appena una “promozione” condivisa ci fa gongolare  pensando di essere grandi intenditori (nel mio caso quella di Pietroburgo di Bely), arrivano due o tre bocciature così solenni e senza appello che ci fanno precipitare nel dubbio se, in una vita di letture, ci abbiamo poi davvero capito qualcosa.

E su questo non ho altro da dire.

Intransigenze di Vladimir Nabokov
Titolo originale: Strong Opinions
Adelphi, 1994 (1973)
Traduzione di Gaspare Bona
pp. 413
La mia valutazione su Goodreads: