Climax #01: per aspera ad astra

Le assetate e Racconti carnivori di Bernard Quiriny

Sinossi (dal risvolto di copertina): nel Belgio degli anni ’70 una rivoluzione guidata da donne sfocia in un regime totalitario, dominato dal culto della Pastora Ingrid e poi di sua figlia Judith, le cui leggi sessiste ribaltano il rapporto di forza storico tra donne e uomini. In Francia, questa Viragoland isolata dal resto del mondo suscita l’ammirazione di alcuni esponenti dell’intellighenzia parigina, colta e vanesia. Cinque di loro – sferzanti caricature di Bernard-Henri Lévy, Philippe Sollers, Julia Kristeva in visita alla Cina di Mao – saranno protagonisti del primo viaggio ufficiale nell’Impero delle donne. Quiriny mostra il paradosso dell’aberrazione di un’ideologia progressista e l’accecamento degli intellettuali di fronte all’incarnazione della loro utopia, offrendo una mordace riflessione sugli eccessi del fanatismo e su una violenza politica forse più presente di quanto si immagini nel mondo contemporaneo.

Anche ammettendo che l’idea di una isolata “Viragoland” situata proprio nel cuore dell’Europa fosse originale al punto da sostenere un testo di oltre trecento pagine (e secondo me non lo era), il problema principale sta qui nel fatto che per uno sviluppo di tale portata sarebbe stato necessario un talento narrativo che Quiriny dimostra di non possedere affatto.
Gli intellettuali in visita nell’Impero delle donne (peraltro io ne ho contati sei e non cinque) più che “sferzanti caricature”, mi sono sembrati irritanti e patetiche macchiette, incapaci di strappare all’incauto lettore sia pure un’idea di sorriso. E anche la trama non regge, sotto un devastante fuoco di fila di trovate e paradossi divertenti solo nelle intenzioni dell’Autore, ma assolutamente stucchevoli nella realizzazione.
Il completo fallimento di qualsiasi intento metaforico o ironico da parte del signor Quiriny si consuma, però, nell’ultima parte del libro, in cui si descrive la caduta del regime di Judith. Il repentino passaggio a un registro assolutamente realistico, con scene che richiamano in maniera molto precisa al processo e alla fucilazione di Ceaușescu, appare infatti una ulteriore forzatura, affatto stridente con il resto dell’opera e che va a minare definitivamente il già precario equilibrio del testo.
Anche l’alter ego dell’Autore, quel Pierre-Jean Gould che avevo trovato assolutamente godibile ne “La biblioteca di Gould” (ne ho parlato qui), viene ridotto a una figurina tronfia e miserevole, scontata epitome della più vieta icona dell’intellettuale da salotto.
Visto, però, che nel complesso la succitata “Biblioteca” mi aveva fatto una discreta impressione e ritenendo che monsieur Quiriny potesse dare il meglio di sé sullo scatto breve del racconto, ho letto i suoi “Racconti carnivori”, contando di ritrovare almeno in parte l’arguta piacevolezza che ricordavo.
Mai speranza fu più mal riposta. Perché mentre nella “Biblioteca” Quiriny stuzzica la vanità e le paranoie del bibliofilo con una serie di variazioni sul tema dei libri, qui si lascia andare a una infilata di storie grottesche, macabre e a volte anche ripugnanti, dimostrando di possedere uno humour nero tedioso e vagamente disturbante.
E anche in quest’opera la figura di Gould, che appare in alcuni dei 14 racconti di cui è composta la raccolta, è molto lontana dall’immagine di raffinato e facondo amante dei libri, riducendosi sostanzialmente a quella di un eccentrico idiota.
Insomma alla fine mi è rimasta la sgradevolissima sensazione di aver dedicato al signor Quiriny molto più tempo di quanto meritasse.

#fallabreve: Orwell. Ma molto più noioso.
“Le assetate” di Bernard Quiriny
Transeuropa Edizioni 2012 (2010)
Traduzione di Stefania Ricciardi
pp. 311
€ 15,00

#fallabreve: Apprezzabili quanto una lombata al sangue per un vegetariano.
“Racconti carnivori” di Bernard Quiriny
Omero Editore 2009 (2008)
Traduzione di Enrico Valenzi
pp. 200
€ 15,00

Non passare per il sangue di Eduardo Savarese

Sinossi (dalla quarta di copertina): È possibile essere fecondi, costruire relazioni vive e sensate, oltre e contro i legami di sangue? Un amore omosessuale non passa per il sangue, ma è vita, amore e senso. Luca, un ufficiale dell’esercito italiano, e Agar, un’anziana donna di origine cretese, sono i protagonisti di una storia di conoscenza e scoperta che li condurrà, inaspettatamente, a condividere ricordi e risolvere traumi inespressi. Il legame tra i due si annida in Marcello, unico nipote di Agar e collega di Luca, da poco scomparso in Afghanistan. Luca ha il doloroso compito di consegnare alla famiglia dell’ufficiale la valigia con gli effetti personali, e questa sarà l’occasione per ricordare Marcello e per indagare sugli aspetti poco conosciuti del giovane eroe morto. Ma la presenza di Luca suscita in Agar, suo malgrado, il ricordo lontano della sua conoscenza con Antonio, il nonno di Marcello, al tempo dell’occupazione fascista di Creta. Luca svela ad Agar di avere avuto una relazione molto intensa con Marcello. La reazione della vecchia nonna è spietata: l’amore omosessuale dei due è contro natura. La tensione tra due mondi così lontani, attraverso gli echi di due guerre e la perdita degli affetti, si scioglie nell’accettazione dell’irriducibile identità di ciascuno.

L’idea di fondo del libro di Savarese è interessante e ruota essenzialmente intorno alla possibilità di dare un senso alla propria vita anche in assenza di una discendenza che incarni l’illusione dell’unica immortalità possibile, quella che si realizza attraverso il proseguimento della linea di sangue. “Non passare per il sangue” è un libro sul dolore, sui difficili percorsi che portano all’accettazione di una realtà ineluttabile come la morte di una persona amata, un libro sulla difficoltà di riempire il vuoto affettivo e sentimentale che opprime chi resta, sul potere consolatorio e catartico della memoria. È un libro sullo scontro fra due tipi di amore, ognuno dei quali sembra rivendicare il proprio diritto all’esclusività.
“S’i fosse” un recensore di mestiere potrei fermarmi qui e lasciarvi col fiato sospeso con una di quelle recensioni cerchiobottiste che non amo e di cui ho parlato nello scorso post. “Si fosse” #Stronkman “com’i’ sono e fui”, invece, vi direi che mai come in questo caso vale l’adagio per cui “la montagna ha partorito il topolino”. Perché a mio avviso questo è un libro non riuscito. Anzi, confesso che scrivendo queste righe faccio fatica a ricordare una qualsiasi emozione provata durante la lettura. E faccio fatica anche a trovare difetti eclatanti, quasi che in realtà sia proprio l’insieme del testo a non essere convincente: nella sua struttura, nella piattezza e nella rigidità dei personaggi, e anche nella banalità di alcuni passaggi, fra cui, paradossalmente, proprio quelli che trattano dell’omosessualità.

#fallabreve: Solo la memoria può riempire i vuoti della morte.
“Non passare per il sangue” di Eduardo Savarese
Edizioni e/o 2012
pp. 191
€ 16,00

 

Augustus di John E. Williams

Si tratta dell’ultima opera di Williams, scritta nel 1972, sette anni dopo “Stoner” e con la quale vinse il National Book Award.
Chiariamo subito una cosa: se siete degli storici o se pensate che questa sia la biografia di Augusto, lasciate perdere. L’Autore è estremamente chiaro nella sua nota introduttiva quando dichiara: “Sarò grato a quei lettori che lo accoglieranno per ciò che vuole essere: un’opera dell’immaginazione”.
Il romanzo, perché di questo si tratta, è diviso in tre parti più un breve epilogo. Nella prima si va più o meno dal 45 a.C. alla battaglia di Azio del 31 a.C. (e se non vi ricordate di cosa si parla andate a ripassarvi un po’ di storia come ho dovuto fare io!). La seconda arriva al 4 d.C. ed è dominata dalla figura di Giulia, la figlia di Augusto. La terza parte è invece una lunga epistola di Ottaviano a Nicolao di Damasco scritta nell’anno della sua morte, il 14 d.C..
Williams costruisce con pazienza la figura di Augusto attraverso la composizione di un vero e proprio mosaico, le cui tessere sono costituite da documenti (prevalentemente inventati), lettere e frammenti di diari o di opere letterarie, scritti da chi ebbe la ventura di incrociare il proprio destino col fondatore dell’Impero romano. Parlando della propria vita privata o di avvenimenti storici, questo caleidoscopio di voci compone il ritratto di un uomo che in nome di “Roma” non esitò a sacrificare la propria vita e quella di chi gli fu vicino. E particolarmente struggente è il rapporto con Giulia, una figura che ho trovato particolarmente affascinante nella sua dolente accettazione di un destino segnato dall’essere figlia di cotanto padre.
È stato davvero piacevole leggere un romanzo che fra le voci narranti annovera, fra le altre, quelle di Mecenate, Cicerone, Orazio, Virgilio, Ovidio, qui descritte al di fuori dei ruoli, spesso piuttosto ingessati, con cui ci sono stati tramandati.
Il continuo cambio di prospettiva rende la figura di Augusto viva e complessa, e l’estrema solitudine con cui è costretto a fare i conti lo avvicina a noi comuni mortali, lui che ebbe potere assoluto di vita e di morte sull’universo mondo allora conosciuto.
E anche se so che quanto sto per dire scandalizzerà molti di voi, lo dico lo stesso: secondo me è più bello di “Memorie di Adriano”, ecco, l’ho detto.

#fallabreve: Un uomo. Solo. Al comando.
“Augustus” di John E. Williams
Castelvecchi Editore 2013 (1972)
Traduzione di Bruno Oddera rivista da Antonella Lattanzi
pp. 384
€ 17,50

In fondo al tuo cuore di Maurizio De Giovanni

Dichiaro immediatamente che a me la serie del commissario Ricciardi di De Giovanni piace parecchio. E piace da tempi non sospetti, quando il Nostro era pubblicato da Fandango e le copertine le disegnava Gianluigi Toccafondo. Dirò di più: ritengo Ricciardi un maestro del genere. Mi piace moltissimo la sua capacità di disegnare le quinte entro le quali si muovono personaggi in possesso ognuno di una propria individualità precisa, di un carattere ben delineato. Mi piace la sua scrittura avvolgente, densa, confortevole, calda.
Sono libri d’atmosfera in cui il grande valore aggiunto sta forse nella musica che sottende le storie, 

che è poi la voce malinconica e dolente di una città: la voce di Napoli. Nella serie di Ricciardi l’indagine sul delitto di turno costituisce solo uno dei tanti elementi della storia, quasi un pretesto. Il lettore, più che scoprire il colpevole, vuole avere notizie sul maresciallo Maione e la sua Lucia, sulla timida Enrica, sulla bella Livia, sulla vecchia tata Rosa, sul temerario dottor Modo. E De Giovanni è davvero bravo a conservare l’equilibrio narrativo fra le esigenze proprie del noir, un genere che comunque ha delle regole che vanno rispettate, e quelle della piccola commedia umana che da anni mette in scena.
Tuttavia non nascondo di nutrire un timore, che è il timore di un lettore affezionato. La sospensione dell’incredulità non può durare in eterno. Già accettare l’idea di un commissario che vede i morti di morte violenta pronunciare la propria ultima frase richiede un certo sforzo. Continuare a procrastinare il redde rationem con Enrica e Livia, alla lunga potrebbe essere un ulteriore limite, pesante da sopportare. E se devo riconoscere che anche stavolta De Giovanni è riuscito a trovare un modo credibile per arrivare (almeno) al prossimo libro, spero che l’Autore sia consapevole del fatto che questa strada sta diventando sempre più stretta. A meno che, ovviamente, non decida di polverizzarci i cabasisi con estenuanti tira e molla, come ha fatto Camilleri con Montalbano e Livia, adolescenti anche in limine mortis.
Quel che voglio dire, insomma, è che Ricciardi non è Maigret, non è Dexter, non è Poirot, non è Sherlock Holmes, personaggi per cui la serialità è almeno teoricamente infinita. Prima o poi De Giovanni dovrà decidere come chiudere la vicenda letteraria del suo commissario dagli occhi di ghiaccio, altrimenti il rischio che corre è lo stesso che ho paventato per il Biagio Mazzeo di Piergiorgio Pulixi (ne ho parlato qui). Perché, a parer mio, in questo caso anche un lieto fine sarebbe meglio di nessuna fine.
E su questo non ho altro da dire

#fallabreve: Ne uccide più la lingua (anche quando tace) della spada.
“In fondo al tuo cuore” di Maurizio De Giovanni
Einaudi Editore 2014
pp. 451
€ 19,50

(Data di prima pubblicazione su ifioridelpeggio.blogspot.it: 02/12/2014)