Chi nasce tondo… – “Sotto una buona stella” di Richard Yates

Sinossi (dalle note di copertina): Bobby è un giovane soldato che cerca di barcamenarsi sui campi di battaglia della seconda guerra mondiale; non si è rivelato l’eroico guerriero che immaginava di essere, e la sua esperienza è fatta solo di paura e confusione. A casa lo aspetta la madre, Alice, che ripone in lui tutte le sue speranze e sogna, al suo ritorno, di poter cominciare una nuova vita per entrambi.

Siamo nell’autunno del 1944. Prima di partire per la guerra in Europa, il diciannovenne Robert Prentice torna a New York per salutare la madre. Dopo i mesi di addestramento e la “simmetria immacolata della caserma” è così di nuovo a contatto con quel mondo di precarietà (“non aveva mai abitato in un posto per più di un anno”) e sciatta mediocrità in cui è cresciuto. Alice ha ormai cinquantatré anni ed è costretta a fare l’operaia per sbarcare il lunario, ma il suo sogno è sempre lo stesso: sfondare come scultrice. Anzi, per lei questo non è un sogno, ma una certezza, sempre sul punto di diventare realtà. Alice ha già in testa tutto un programma di incontri e cose da fare per riempire la licenza del figlio e non smette di parlarne. Bobby la lascia fare, rassegnato. Sa bene che, in fondo, l’oggetto delle “chiacchiere” di sua madre non ha nessuna importanza, e che il vero argomento sotteso a ogni discussione è sempre e soltanto uno: “convenire che la sua vita non era un fallimento”. Pure, in un momento di rabbia, cerca di strapparla ai sogni velleitari di una svolta sempre imminente e ogni volta rimandata. Per tutta risposta Alice gli dice: “Sembri proprio tuo padre”, da lei considerato il suo “primo grande sbaglio”, il primo dei tanti ostacoli che l’hanno portata al punto in cui è ora. Bobby sa perfettamente che tutta la vita di Alice si basa su una “bugia”, che è una donna “fragile e impacciata”, “ignorante e sciocca”. Eppure si chiede se non sia meglio lasciarle “coltivare le sue illusioni”, perché deve confessare a se stesso che, se si è fatto “nove ore di viaggio” per arrivare fin lì invece di andare in un bordello con i suoi commilitoni, è stato proprio per trovare rifugio nella “consolazionYATES Sotto Una Buona Stella.indde delle bugie della madre”, nella sua convinzione “che entrambi erano in qualche modo unici e importanti”.
Neanche lui, d’altronde, è immune da quella convinzione, quasi l’avesse assorbita per osmosi. Per il suo imminente futuro militare sogna infatti imprese eroiche, in un improbabile confronto con un immaginario cinematografico da cui sarà costretto ad arretrare con sorpresa e irritazione quando la realtà si rivelerà, come sempre, molto diversa dalle sue fantasie. Così alla fine si renderà conto che, anche nel bel mezzo di un evento di rilevanza epocale, lui sarà stato solo il “tizio destinato a essere in ritardo per tutto, escluso da tutto, e infine relegato in un posto troppo basso per essere notato”. E anche il piccolo colpo di scena dell’epilogo, con cui sembra volersi staccare dall’abbraccio mortifero di Alice, non sapremo mai se sarà stato l’estremo e tardivo tentativo di fuga oppure la duplicazione della stessa, fallimentare, traiettoria materna.
L’ambientazione bellica di gran parte del romanzo (che occupa la prima e la terza parte del libro, mentre la seconda si concentra sulla vita di Alice e la sua fede “nell’essenziale giustezza del suo progetto” di diventare una rinomata scultrice), oltre a costituire un rimando autobiografico, sembra quasi voler dimostrare al lettore che i personaggi di Yates saranno sempre ed ovunque degli inadeguati, dei fuori sincrono, degli illusi, degli inetti. Che si trovino in un salotto per stordirsi a forza di drink o su un campo di battaglia, non fa alcuna differenza. Sono sempre tutti alla continua ricerca di conferme esterne del senso di sé, stolidamente convinti di essere destinati a luminosi, ancorché vaghi, successi; sempre in attesa di qualcuno o di qualcosa che gli consenta di fare il “salto”, di una parusia che, come quella con la “P” maiuscola, non arriverà mai. Sono uomini e donne dalle esistenze devastate dalla rincorsa di aspettative irrealizzabili e irrealistiche, che si avvitano in una perversa eppure ineluttabile spirale in cui, alla fine, anche il fallimento sarà stato inutile. Perché né Bobby, né Alice, né tutta la galleria di splendidi personaggi creati da questo grande scrittore, impareranno mai nulla dai colpi della vita, continuando a cercare qualcosa o qualcuno a cui dare la colpa di tutto.
Nei libri di Yates non c’è alcuna comunicazione reale fra i personaggi, perché ne manca il presupposto fondamentale: la capacità di ascoltare l’altro, e Sotto una buona stella non fa eccezione. Non è un caso se, nel prologo, mentre Alice sta sproloquiando, Bobby “dopo un po’ smise di ascoltare” anche se “grazie a una lunga esperienza era in grado di dire ‘Ah, sì’, oppure: ‘Ma certo’, sempre al momento giusto”. E non è un caso se Alice, nell’epilogo, riserva lo stesso trattamento all’amica (sic!) Natalie Crawford.
Ognuno recita il suo copione in una commedia di cui è al contempo regista, attore e spettatore.
Pur trattandosi, a mio avviso, di un’opera sottotono rispetto al resto della produzione yatesiana, direi anzi la sua meno riuscita, siamo comunque su livelli qualitativi inarrivabili ai più. Il vero problema è che, a questo punto, rimane solo un altro libro da tradurre: Young Hearts Crying, del 1984.
Insomma: aspettiamo l’ultimo regalo di minimum fax e poi la festa è finita.
E su questo non ho altro da dire.

#fallabreve: Renitenti alla vita
“Sotto una buona stella” di Richard Yates
minimum fax, 2014 (1969)
Traduzione di Andreina Lombardi Bom
pp. 411
€ 14,50