Alla ricerca del tempo #03

Il tempo dentro” di noi: Mind Time di Benjamin Libet

Nel suo saggio Libet tenta di “gettare un ponte sull’abisso che separa il ‘fisico’ (il cervello) dal ‘mentale’ (le nostre esperienze soggettive)”, studiando “come possono le attività fisiche delle cellule nervose del cervello produrre fenomeni di esperienza soggettiva conscia, fenomeni non fisici”. Nel farlo, l’Autore si sofferma su alcuni risultati sperimentali che, per certi versi, appaiono sorprendenti, quando non controintuitivi, arrivando anche, come vedremo, a mettere in discussione l’espressione del libero arbitrio.

Il primo riguarda la correlazione fra stimolo, reazione e percezione cosciente di quello che è accaduto. Per spiegarmi meglio mi rifarò all’esempio utilizzato da Boncinelli nella Prefazione. Siamo in macchina e all’improvviso un pedone sbuca di lato (stimolo) e freniamo bruscamente (reazione). Libet ha dimostrato che dal momento in cui il pedone sbuca sulla nostra traiettoria alla frenata passano cento millisecondi (msec). Fin qui, nulla di sorprendente, se non fosse che per prendere coscienza di quanto accaduto (della comparsa del pedone “e” della frenata, quindi) abbiamo bisogno di quasi mezzo secondo in più. In altri termini, il corpo “si rende conto della situazione di emergenza e vi pone rimedio prima che io mi accorga di qualcosa”. Prima di restare a bocca aperta immaginando le conseguenze di questo dato sulla nostra esistenza quotidiana, tuttavia, ritengo necessarie alcune riflessioni. Se il dato sperimentale non può essere messo in discussione, infatti, lo sono alcune inferenze logiche che sembrano derivarne. La prima riguarda il ruolo della coscienza nelle attività che richiedono risposte che potremmo definire automatiche o istintive. Passiamo ad ambiti meno drammatici dell’infortunistica stradale. Nel tennis moderno è tutt’altro che infrequente rispondere a servizi che viaggiano a velocità molto superiori ai 200 chilometri orari. Non sono in grado di calcolare il tempo che intercorre fra l’urto della pallina con le corde della racchetta del tennista al servizio e la risposta del suo avversario, ma sono abbastanza certo che siamo al di sotto del mezzo secondo. Si tratta, quindi, di un altro caso in cui la dimensione “cosciente” della reazione sembra del tutto secondaria rispetto alla sua effettiva realizzazione. Poiché di questi casi ce ne sono molti (si pensi al tempo di reazione di un centometrista dopo lo sparo dello starter, o a quello di un pilota di formula 1 allo spegnimento dei semafori alla partenza), penso che la conclusione sia che nei casi in cui è richiesta una rapida attività motoria reattiva a uno stimolo la “nostra attività cosciente” non è poi così fondamentale. Se questo sia o meno sorprendente lascio a voi decidere.

In un altro esperimento Libet misura il tempo che intercorre fra stimoli di intensità molto debole e la risposta del soggetto osservato. Anche qui si conferma l’esistenza di quel mezzo secondo fra stimolo e reazione. Ma anche in questo caso ritengo che le implicazioni reali siano più limitate di quanto l’Autore vorrebbe. Infatti, siamo di fronte a situazioni sperimentali piuttosto estreme, che utilizzano stimoli appena sopra la soglia di percepibilità dell’apparato sensoriale umano, in cui (come afferma Snanislas Dehaene nel libro di Buonomano): “l’input è così debole da richiedere una lenta accumulazione di dati prima di poter varcare la soglia della percezione cosciente”. Insomma, se questi dati sembrano dimostrare che, come scrive Boncinelli: “quel mezzo secondo circa separa in genere la mia presa di coscienza di un fatto dal fatto stesso, l’esse dal percipi”, gli effetti di questa separazione nella vita reale sono piuttosto limitati, visto che viviamo in un mondo di stimoli molto al di sopra della nostra soglia di percepibilità e in cui è possibile che altre attitudini (istinto? memoria muscolare?) ci vengano in soccorso.

Libet ha poi provato a determinare il momento in cui percepiamo coscientemente un atto di volontà, arrivando ancora una volta a risultati, almeno di primo acchito, sorprendenti. Infatti, il potenziale elettrico che si genera nella corteccia motoria precede di circa 350 msec la nostra decisione cosciente di fare un movimento (nell’esperimento premere un pulsante) e questa richiede altri 200 msec per essere realizzata. Ancora una volta però, almeno a mio avviso, le cose sono meno stupefacenti di quanto sembrerebbe. Innanzitutto, il metodo utilizzato per calcolare il tempo necessario a mettere in atto la decisione di premere un pulsante (nello specifico ricordarsi il tempo segnato da un orologio digitale posto davanti al soggetto) mi sembra molto meno oggettivo e affidabile di quello utilizzato per registrare il cosiddetto “potenziale di prontezza” nella corteccia prefrontale (considerato il momento di “avvio della preparazione” dell’azione e registrato da un elettrodo posto sul cuoio capelluto). Infatti, pur ammettendo che la latenza di 350 msec fra il potenziale e l’intenzione di effettuare il movimento sia la media di un gran numero di misurazioni, mi sembra che il problema sia più sostanziale. Ritengo, infatti, che l’esperimento più che dimostrare in maniera inequivocabile che “l’avvio della preparazione” di un movimento “precede la consapevolezza cosciente”, dimostri solo che il segno scelto come indicatore dell’avvio della preparazione in questo disegno sperimentale precede di un certo intervallo di tempo il segno scelto come indicatore della consapevolezza cosciente. Ed è soprattutto su questo secondo segno che ricadono le mie maggiori perplessità, in quanto conosciamo troppo poco il funzionamento della nostra mente per stabilirne la reale affidabilità. Nel suo studio Libet lo ha scelto (in maniera motivata ma non per questo meno arbitraria) come correlativo oggettivo della espressione della volontà cosciente: che poi lo sia effettivamente mi sembra più opinabile. Ancora più opinabile, a dir poco, è la riflessione successiva sulle conseguenze che queste evidenze sperimentali sembrerebbero avere sulla possibilità di esistenza del libero arbitrio (almeno quando questo debba esprimersi nell’arco di 350 msec).

In conclusione, premettendo che il libro è stato pubblicato diversi anni fa, mi sembra che i meccanismi proposti per spiegare la relazione fra mente e cervello (anche lasciando da parte la spinosa questione del libero arbitrio) siano ipotesi che, come peraltro riconosce lo stesso Libet: “non sono in pratica sottoponibili a controllo sulla base di criteri oggettivi e scientifici”; è d’altronde possibile che i meccanismi di funzionamento del binomio cervello/mente siano difficilmente riducibili a esperimenti falsificabili, non foss’altro per motivi etici. Il libro sembra così impantanarsi in una situazione a metà fra l’aporia e la mise en abyme, situazione che Cartesio (con cui l’Autore instaura un evitabile dialogo immaginario al termine del libro) avrebbe probabilmente sintetizzato così: cogito ergo sum, ergo cogito, ergo sum, ergo cogito… (ad libitum).

E su questo non ho altro da dire.

 

Mind Time di Benjamin Libet
Titolo originale: Mind Time
Raffaello Cortina Editore, 2007 (2004)
traduzione di Pier Daniele Napolitani
Edizione italiana a cura di Edoardo Boncinelli
pp. 246
La mia valutazione su Goodreads: