Se questo è un Nobel #02 – Patrick Modiano

Nobel per la letteratura 2014 con la seguente motivazione:
“per l’arte della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inafferrabili e scoperto il mondo della vita dell’occupazione.”

Confesso che, prima del Nobel per la letteratura del 2014, non avevo mai sentito parlare di Patrick Modiano per cui, subito dopo l’assegnazione del premio, ho dovuto informarmi su quello che, per me, era l’ennesimo Carneade tirato fuori dal cilindro da quei buontemponi degli accademici svedesi, scoprendone l’interesse quasi ossessivo per il periodo dell’occupazione nazista di Parigi e per il racconto delle vite di uomini e donne quasi invisibili, ai confini dell’oblio.

Visto che negli ultimi anni, a parte qualche notevole eccezione (Nagib Mahfouz, José Saramago e Alice Munro su tutti), la lettura dei Nobel si è spesso rivelata una delusione, il mio istinto ha iniziato a mandarmi segnali di allerta, finchè un’offerta eBook lo ha messo a tacere e ho acquistato Dora Bruder, uno dei romanzi più incensati del Nostro.

Non immaginavo che quella sarebbe stata solo la prima tappa di un viaggio che ne avrebbe richieste altre tre per arrivare alla mia personalissima conclusione.

 

Prima tappa: Dora Bruder

All’inizio degli anni novanta, Modiano si imbatte per caso in un annuncio pubblicato “su un vecchio numero di Paris-Soir del 31 dicembre 1941” in cui si cercava “una ragazza di 15 anni, Dora Bruder” e si chiedeva di “inviare eventuali informazioni ai coniugi Bruder, boulevard Ornano 41, Parigi”. Modiano conosce bene quel quartiere, cui lo legano molti ricordi, e per questo decide di intraprendere un duplice viaggio: il primo alla ricerca delle tracce lasciate da Dora e dalla sua famiglia; il secondo, più intimo e personale, alla ricerca di frammenti del proprio passato.

Non c’è niente che lo leghi alla ragazza e ai suoi genitori, “persone che si lasciano dietro poche tracce. […] Ciò che sappiamo di loro si riassume spesso in un semplice indirizzo. E questa precisione topografica contrasta con quanto ignoreremo per sempre della loro vita… [il corsivo è mio] con quel vuoto, con quel grumo di ignoto e di silenzio” (tenete a mente questa frase, perché è un elemento portante e ricorrente nell’opera del Nostro). Modiano sembra consapevole del fatto che, con i pochi dati a disposizione, non potrà restituire al lettore che un bozzetto appena accennato della vita dei Bruder su cui, peraltro, incombe il campo di sterminio: apprendiamo infatti che Dora e suo padre sono “nell’elenco di coloro che facevano parte del convoglio del 18 settembre 1942 per Auschwitz” mentre la madre li seguirà con quello “dell’11 febbraio 1943, cinque mesi dopo”.

Nel corso del viaggio sulle tracce di Dora, l’Autore resta così invischiato in una esangue terra di mezzo, sospesa fra la ricerca di evidenze documentali e l’invenzione del racconto, peraltro basato quasi esclusivamente sulla curiosità, un pungolo utilizzato per mettere alla prova quel “dono di veggenza nei romanzieri [che] può sicuramente suscitare, alla lunga, fugaci intuizioni «concernenti fatti passati o futuri»”. Anche nel viaggio autobiografico, tuttavia, le cose non vanno meglio. Siamo lontanissimi dall’intensità emotiva di Daniel Mendelsohn ne Gli scomparsi, o dal lirismo drammatico di Katja Petrowskaja in Forse Esther (ne ho parlato qui). Il mondo di Modiano è freddo, artificioso: sembra quasi di assistere a un esperimento di laboratorio.

Confesso di essere rimasto piuttosto perplesso dopo questo primo contatto, ma un dubbio mi ha assalito: poteva essere sufficiente una sola opera per dare un giudizio su un Autore (per di più insignito del Nobel)?1 Non avevo forse dato una seconda occasione persino al magnetofonismo della Aleksievic (ne ho parlato qui e qui)?2

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Seconda tappa: Via delle Botteghe Oscure

Ho deciso quindi di leggere una delle opere più famose di Modiano, quella che gli fruttò il Premio Goncourt nel 1978 e che, in effetti, mi è sembrata da subito molto più solida e strutturata rispetto a Dora Bruder. Anche qui siamo in presenza di una storia sospesa, che a tratti sembra virare nell’onirico, ma almeno c’è uno spunto narrativo promettente. Un uomo dall’identità incerta (“non ricordo se quella sera mi chiamavo Jimmy, Pedro, Stern, McEvoy”) che, dieci anni prima, era di colpo “precipitato nell’amnesia”, decide di “riannodare legami recisi e di provare passaggi da tempo murati”. Nel suo percorso incrocerà “gente strana, che al passaggio lascia solo una scia di nebbia che prontamente svanisce. […] La maggior parte, anche da vivi, non avevano più consistenza di un vapore destinato a non condensarsi mai”.

Man mano che si procede nella lettura, tuttavia, si ha come l’impressione che questa ricerca del proprio passato non si realizzerà mai, quasi il protagonista preferisca restare in una sorta di limbo esistenziale, a cui peraltro fa da perfetto contraltare il limbo narrativo in cui mi sembra possa collocarsi la prosa di Modiano: “perché questa timidezza e questa paura al momento di affrontare i temi che mi stanno a cuore?”. Insomma, nonostante le premesse incoraggianti, sembra che ancora una volta l’Autore non riesca, o meglio non voglia, scrollarsi di dosso una certa artificiosità, sviluppando l’intreccio sulla base di connessioni estremamente labili e non sempre del tutto chiare al lettore.

Non manca l’evocazione dello spettro dell’occupazione nazista, all’origine del tragico epilogo che si intuisce per Denise, all’epoca compagna del protagonista, evento che potrebbe essere la causa della sua amnesia anche se, al solito, tutto rimane appena accennato, suggerito a mezza voce. Ritroviamo pure la caratteristica ossessione “topografica” di Modiano, come sempre determinato a disegnare la mappa con una precisione inversamente proporzionale a quella del territorio emotivo e sentimentale ad essa sotteso: come se la definizione quasi maniacale dello scenario fosse, per paradosso, funzionale alla costruzione di assenze e di vuoti, a dar corpo alle ombre piuttosto che a dare ombre a dei corpi.

Nel complesso, tuttavia, il libro mi è piaciuto, e questo mi ha messo nei guai, perché per chiarirmi le idee su Modiano, ho dovuto leggere altri due libri, che ho scelto in una lista di “imperdibili” trovata in rete3.

 

Terza tappa: Bijou

Thérèse ha circa vent’anni. Un giorno mentre è in attesa “alla stazione del metrò Châtelet nell’ora di punta” incontra una donna che “indossava un cappotto giallo” e crede di riconoscervi la madre, di cui ha perso le tracce da anni: “la somiglianza di quel volto con quello di mia madre era così sorprendente che ho creduto fosse lei”. Non sappiamo nulla di Thérèse se non che “erano passati una dozzina d’anni da quando non [la] chiamavano più Bijou” e che, da quando le “avevano detto che [la madre] era morta, molto tempo prima, in Marocco”, non aveva “mai cercato di saperne di più”. La ragazza si guarda bene dallo stabilire un contatto con quella donna per avere la conferma o la smentita dei suoi sospetti: “mi sono seduta accanto a lei. […] Avrei potuto attaccare discorso [ma] non trovavo le parole e c’era troppa gente intorno a noi”.

La difficoltà, se non proprio il rifiuto, da parte di Thérèse di stabilire un contatto con la “madre” potrebbe essere dovuta a un rapporto profondamente conflittuale tra le due, direte voi. E avreste ragione. Scopriamo infatti che la donna ha avuto un passato torbido nell’ambiente degli emigrati russi a Parigi, una vita di eccessi e ricchezze tanto ostentate quanto fasulle e che Thérèse, in realtà, non aveva “nessuna voglia di parlarle. Non provavo per lei nessun sentimento particolare. Le circostanze avevano fatto sì che non c’era stato fra noi ciò che si suol dire il latte dell’umana tenerezza”. E allora perché, carissima Thérèse, non provi a fartene una ragione e a tornartene a casa, consentendo al lettore di scordarsi della tua esistenza nel giro di una decina di pagine? Perché, purtroppo, una cosa che vorrebbe sapere c’è: “dove si fosse alla fine arenata, dodici anni dopo la sua morte in Marocco”.

E allora intraprende una indagine sconclusionata e bizzarra: “le sere successive ho rifatto lo stesso percorso. […] Facevo la posta al cappotto giallo”. Dopo cinque settimane la donna ricompare e Thérèse la segue fino a casa dove, grazie alla portinaia, scopre che si fa chiamare Boré e che abita al quarto piano della scala A. Poi incontra un uomo, tal “Moreau o Badmaev” (come sempre nell’universo di Modiano i nomi sono mutevoli: in effetti non siamo neanche del tutto certi che la protagonista si chiami proprio Thérèse) che per lavoro “si sintonizzava su trasmissioni radio in lingua straniera e ne trascriveva la traduzione e il riassunto. E faceva questo per un ente che non avevo ben capito se dipendeva da un’agenzia di stampa o da un ministero”. Non l’ha capito lei e non lo capiremo neanche noi perché, nel meraviglioso mondo di Modiano, l’unica certezza sono i dubbi e il fatto che nulla sarà fatto per chiarirli in maniera definitiva. Vabbè, direte voi, ma almeno qui inizia una storia d’amore! No. L’incontro con quest’uomo non porterà proprio da nessuna parte perché, come sempre, il Nostro si accontenta di fornire indizi e inizi che non portano a nulla e che anzi, a un certo punto, si dissolvono senza motivo, così come erano apparsi. Non voglio togliervi il piacere di scoprire come si sviluppa la storia, ove mai foste colti da un insano impulso masochistico: mi limito ad aggiungere che neanche qui manca un fugace accenno alla Parigi occupata.

Al terzo libro le idee su Modiano sono ormai chiare, ma il quarto libro è sulla scrivania: come faccio a non leggerlo4?

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Quarta tappa: Un pedigree

E ho fatto bene, e non perché questo sia un libro che meriti di essere letto, tutt’altro, ma perché mi ha chiarito definitivamente le idee su Modiano e le sue ossessioni.

Qui l’Autore ripercorre la storia della sua vita in un arco temporale che va dal giorno della nascita (anzi da quello in cui i suoi genitori si incontrano) fino al 1967. Pur raccontando eventi estremamente traumatici da un punto di vista emotivo, l’Autore non smette mai la sua abituale freddezza che, per contrasto con la descrizione del deserto affettivo in cui è cresciuto e che certamente ha determinato la sua visione del mondo e dei rapporti umani, sembra a questo punto rappresentare un vero e proprio scudo di anaffettività difensiva.

I genitori si sono conosciuti nella Parigi occupata dai nazisti, “due farfalle smarrite e incoscienti in una città senza occhi, senza volto. […] Ma non ne posso nulla, è l’humus – o il letame – da cui sono nato”. Il piccolo Patrick cresce senza che né il padre né la madre si interessino troppo a lui. Col primo, un delinquente di mezza tacca, non riesce a “stabilire […] una qualche intimità”. Della madre, poi, non ricorda “un solo gesto di vera tenerezza o di protezione”, tanto che a un certo punto scrive: “evidentemente non incontro i suoi favori”. Un solo avvenimento sembra segnarlo, la morte improvvisa del fratello Rudy nel 1957. A parte questo, dice, “niente di tutto ciò che riporterò qui mi tocchi nel profondo”.

Nel corso della lettura scopriamo che molti elementi presenti in altre opere derivano dalla sua biografia (come ad esempio i nomi McAvoy, Pedro, Lucky Luciano, l’orso di peluche, l’investimento da parte di un camion, l’etere, la campionessa di biliardo. Sono riferimenti che troviamo anche in Bijou e Via delle Botteghe Oscure), e questo crea una serie piuttosto intrigante di rimandi interni. Ma sono due frasi a risultare particolarmente interessanti, in quanto rappresentano una vera e propria chiave interpretativa della sua opera. Quando Modiano afferma di scrivere “queste pagine come si scrive un verbale o un curriculum vitae, a titolo documentario e certo per farla finita con una vita che non è la mia”, e quando dice che “a volte, come un cane senza pedigree, e che è stato abbandonato un po’ troppo a se stesso, provo la tentazione di scrivere nero su bianco e in dettaglio quello che [mio padre] mi ha fatto subire, per colpa della sua durezza e incoerenza. Taccio. E lo perdono”, mi sembra impossibile non sottolineare il valore terapeutico, o meglio catartico, che per lui ha avuto ed ha la scrittura, grazie alla quale è riuscito, almeno in parte, a scendere a patti con un passato altrimenti insostenibile.

 

Conclusione

Non nego che nell’opera di Modiano vi siano spunti di un qualche interesse, su tutti il suo continuo ammonimento che la vita di ciascuno di noi, apparentemente così solida, evidente, autoesplicativa, è in realtà fatta di nebbia, pronta a dissolversi a contatto con la Storia. E la sua biografia devastata rappresenta di certo una più che ammissibile giustificazione per una scrittura che ho trovato monocorde e anemica, nonchè per l’ossessività di alcuni temi. Tutto ciò premesso, tuttavia, non ritengo che il giudizio complessivo sul suo valore letterario possa essere positivo, almeno a mio parere.

Peter Englund, segretario permanente dell’Accademia Reale di Svezia, non la pensa così, visto che ha definito Modiano: “un Marcel Proust del nostro tempo”. Ora, signor Englund, dando per scontato che entrambi abbiamo letto il Sommo, delle due l’una: o non l’ho capito io, o non l’ha capito Lei. Perché di proustiano, nella prosa di Modiano c’è soltanto una cosa: il francese. L’unico altro appiglio che ho trovato col grande Marcel è stato un numero di telefono citato un paio di volte in Via delle Botteghe Oscure: AUTeil54-735.

A ben vedere, però, un altro punto di contatto con Proust forse c’è, ed è la definizione che quest’ultimo diede delle opere di Pierre Loti, uno scrittore ormai caduto nell’oblio, definizione (e destino letterario) che si adatta perfettamente anche a Modiano: “i suoi romanzi sono scritti tutti sulla stessa nota perché la sua lira ha una corda sola”.

Insomma, alla fine di questo viaggio di quattro tappe posso concludere con assoluta certezza una cosa: devo fidarmi di più del mio istinto6.

E su questo non ho altro da dire.

 

#fallabreve: L’elenco telefonico delle ombre.

 

1 Il mio istinto mi ha risposto: “Certo che basta, ricordati di Herta Müller!!!”
2 Il mio istinto allora ha detto: “E non ti era bastato?”
3 8 libri davvero belli di Patrick Modiano su: http://www.panorama.it/cultura/libri/i-libri-belli-patrick-modiano/
4 Il mio istinto mi ha fornito una serie di ipotesi alternative alla lettura (dalla produzione di coriandoli, alla costruzione di aeroplanini di carta fino al decoupage di un bidet), ma io ho continuato ad ignorarlo.
5 Marcel Proust nacque ad Auteuil, una cittadina ad ovest di Parigi, ora completamente inglobata nella metropoli (da Wikipedia).
6 Meglio che non vi dica cosa mi ha detto a questo punto il mio istinto.

 

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Sinossi
31 dicembre 1941, sul Paris-Soir appare un annuncio: si cercano notizie di una ragazza di quindici anni, Dora Bruder. A denunciarne la scomparsa sono i genitori, ebrei emigrati da tempo in Francia. Quasi cinquant’anni dopo, per caso, Patrick Modiano si imbatte in quelle poche righe di giornale, in quella richiesta d’aiuto rimasta sospesa. Non sa niente di Dora, ma è ugualmente spinto sulle sue tracce. Modiano cerca di ricostruirne la vita, i motivi che l’hanno spinta a scappare e segue l’ombra di Dora per le vie di una città che conosce e ama, nei luoghi che hanno vissuto la guerra e l’occupazione, fino al drammatico epilogo ad Auschwitz. Qui, dove comincia la Storia degli uomini, si chiude per sempre la storia privata di Dora in mezzo a quella di un milione di altre vittime.

Dora Bruder di Patrick Modiano
Titolo originale: Dora Bruder
Guanda, 2011 (1997)

Traduzione di Francesco Bruno
pp. 136
€ 14,50 (eBook € 7,99)

Sinossi

“Gente strana, che al passaggio lascia solo una scia di nebbia che prontamente svanisce. Con Hutte chiacchieravo spesso di questi esseri di cui le orme si perdono. Nascono un bel giorno dal nulla e al nulla ritornano dopo un fugace brillio. Reginette di bellezza, gigolos, farfalle. La maggior parte, anche da vivi, non avevano più consistenza di un vapore destinato a non condensarsi mai.” Chi parla è Pedro McAvoy Stern, protagonista-narratore di Via delle Botteghe Oscure, il romanzo con il quale Patrick Modiano, già noto al grande pubblico, vinse nel 1978 il Premio Goncourt. Hutte è il responsabile di una Agenzia di Investigazioni nella quale il narratore ha lavorato per alcuni anni: ora è stanco, lascia l’agenzia e si trasferisce a consumare la sua vecchiaia a Nizza. Pedro McAvoy Stern è un uomo che alcuni anni prima, per colpa di una amnesia, non sa più chi è. Gli “esseri di cui le orme si perdono” sono il suo passato. L’agenzia è chiusa. Lui può cominciare a investigare su se stesso.

Via delle Botteghe Oscure di Patrick Modiano
Titolo originale: Rue des Boutiques Obscures
Bompiani, 2014 (1978)
Traduzione di Giancarlo Buzzi
pp. 206
€ 17,00 (eBook € 8,99)

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bijou Sinossi

Nella folla dell’ora di punta, in una stazione della metropolitana parigina, una giovane donna crede di riconoscere la madre, che non vede da quando era piccola. Inizia a seguirla, attratta irresistibilmente dal suo cappotto giallo. Si apre così una delle indagini più incerte e commoventi che sia mai stata narrata. È la storia di un abbandono, della ricerca malinconica di un “paese natale” a cui far ritorno, di una solitudine che nessuna amicizia riesce a spezzare. La bambina che aveva recitato al fianco della madre, la piccola attrice cui era stato dato il nome d’arte di Bijou, è diventata adulta, apparentemente libera di vivere la propria vita.

Bijou di Patrick Modiano
Titolo originale: Le petite Bijou
Einaudi, 2005 (2001)
Traduzione di Irene Babboni
pp. 125
€ 14,00 (eBook € 6,99)

Sinossi

Un’infanzia vissuta sotto la stella dell’assenza e dell’estraneità. Parigi, ottobre 1942. Durante l’Occupazione un uomo e una donna si incontrano. Lui è un ebreo di origini toscane, lei è una fiamminga arrivata a Parigi inseguendo l’impossibile sogno di diventare ballerina. I due si sposano e hanno due figli, uno è Patrick Modiano. Per vent’anni vivono in un appartamento al numero 15 di quai de Conti, ma quelle che conducono sono vite parallele che a volte si intrecciano per brevi istanti ma che non si incontrano mai del tutto. Un’indifferenza tenacemente perseguita, segnata, per il piccolo Patrick, da affidamenti a persone di fiducia (che un bel giorno vengono arrestate dalla polizia) o reclusioni in collegi spartani e inospitali (dove si viene sistemati come “nel deposito bagagli di una stazione dimenticata”). A essere narrato in queste pagine è un universo di volti, a tratti solo un nome o un soprannome, che Modiano cerca di far riemergere dalla profondità della memoria per ricostruire una personale carta d’identità, o meglio per tracciare un impossibile e indefinito pedigree (lasciando però la sensazione che quella raccontata non sia mai la sua vita). Una narrazione colma di nostalgia e mistero, un affascinante ritratto di una Parigi-mito, un racconto generoso e impietoso di uomini ed esistenze reali o forse soltanto possibili.

Un pedigree di Patrick Modiano
Titolo originale: Un pedigree
Einaudi, 2006 (2005)
Traduzione di Irene Babboni
pp. 81
€ 10,00 (eBook € 6,99)

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Fonti iconografiche:
Per la prima immagine (da sinistra a destra): Patrick Modiano in un disegno di Tullio Pericoli; Parigi durante l’occupazione tedesca, estate 1940 (da www.alieuomini.it); Adolf Hitler visita Parigi con Albert Speer (a sinistra) e Arno Breker (a destra), giugno 1940 (da en.wikipedia.org).
Per la seconda immagine (da sinistra a destra): un caffè parigino durante l’occupazione tedesca, 1940 (da blogs.timesofindia.indiatimes.com); Patrick Modiano (foto di Alexander Mahmoud); Parigi durante l’occupazione tedesca, estate 1940 (da www.alieuomini.it).
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