Breviter 2017 #05 – Recensioni (e stroncature) intramuscolari

Questa volta è la mia storia di Neil Simon

Francamente dalla penna che ha scritto alcune delle più esilaranti commedie di Broadway, basti citare “A piedi nudi nel parco” e “La strana coppia”, mi aspettavo una lettura più interessante e, soprattutto, divertente. Confesso invece che all’ennesima dettagliata descrizione del travaglio legato alla creazione di un copione teatrale, ho cominciato ad annoiarmi. Non mancano aneddoti gustosi, anche se spesso si riferiscono a nomi poco noti al di fuori del mondo dello spettacolo statunitense, ma se l’Autore avesse applicato a questo libro la stessa pratica di frenetiche e massicce riscritture utilizzata per i copioni (non a caso il titolo originale è Rewrite), penso che sarebbe venuto fuori qualcosa di meglio.

In ogni caso cinquecentocinquantacinque pagine per la propria biografia, anzi per la prima parte della propria biografia, ritengo siano davvero troppe: anche se ti chiami Neil Simon.

#fallabreve: Rewrite it, Neil.

Questa volta è la mia storia di Neil Simon
Titolo originale: Rewrite
Excelsior 1881, 2007 (1996)
Traduzione di Fabio Paracchini
pp. 555
€ 24,50 (eBook non disponibile)

La mia valutazione su Goodreads:

Warlock di Oakley Hall

In una Frontiera demitizzata, un “termine che suona romantico alle orecchie di chi non ci vive”, in una città mineraria messa in crisi dal progressivo esaurimento delle vene di argento, “infestata di puttane e incline alla lordura”, Hall mette in scena una sorta di tragedia greca, in cui tutti i (numerosi) protagonisti che la animano sono un impasto di luce e ombra, di bene e male, di giusto e sbagliato: d’altronde “cosa sono la Ragione e il Torto, in fin dei conti, se non un punto di vista?”.

Purtroppo per farlo ci mette quasi settecento pagine, dilatando e rallentando l’intreccio oltre ogni sopportazione, così che alla fine il lettore[1], stremato, sarebbe disposto a sfidare a duello pure Cocco Bill e Lucky Luke pur di finirla in qualche modo. E meno male che il signor Henry Holmes Goodpasture, padrone dell’emporio di Warlock, ha la bontà di fornire tramite le pagine del suo diario una serie di informazioni molto utili a chiarire alcuni punti della storia[2], altrimenti terminare la lettura sarebbe stato molto più faticoso.

Detto questo, penso che nessuno sano di mente avrebbe alcun dubbio nel ritenere il venerabile Thomas Pynchon estremamente più competente di un cialtronesco dilettante come me nel giudicare libri e scrittori: per cui se secondo lui questo è “uno dei migliori romanzi americani” e secondo me un polpettone abbastanza noioso, sapete a chi dovete dar retta.

[1] Ovviamente se quel lettore sono io.
[2] Ovviamente utili per un lettore di limitata intelligenza come il sottoscritto.

#fallabreve: Yin e yang in salsa western.

Warlock di Oakley Hall
Titolo originale: Warlock
SUR, 2016 (1958)
Traduzione di Tommaso Pincio
pp. 685
€ 22,00 (eBook € 12,99)

La mia valutazione su Goodreads:

Un albero cresce a Brooklyn di Betty Smith

Capisco che un libro come questo, nell’immediato dopoguerra, possa aver avuto una certa risonanza, vista la storia così “americana” ed edificante. Tuttavia leggere nella postfazione che è stato scelto dalla New York Library come uno dei “libri del ventesimo secolo”, o che è “obbligatorio nella maggior parte delle scuole degli Stati Uniti”, mi ha lasciato davvero perplesso. Francamente non capisco come possa un lettore del ventunesimo secolo[3] non giudicare questo libro un pedante concentrato di insopportabile melensaggine, assolutamente privo di ironia, intriso di sentimentalismo a buon mercato e scritto con una prosa piatta al limite della banalità.

Probabilmente mi sarebbe piaciuto di più se lo avessi letto in un altro momento della mia vita: tipo quando avevo dieci anni.

[3] Ovviamente se si tratta di un lettore arido e di  una brutta persona come me.

#fallabreve: Vita e miracoli di Santa Katie.

Un albero cresce a Brooklyn di Betty Smith
Titolo originale: A Tree Grows in Brooklyn
Neri Pozza, 2007 (1947)
Traduzione di Antonella Pietribiasi
pp. 575
€ 14.50 (eBook € 7,99)

La mia valutazione su Goodreads:

Tutto il nostro sangue di Sara Taylor

Prendete una linea temporale inspiegabilmente e inutilmente spezzata, ma sarebbe meglio dire polverizzata, che va dal 1876 al 2143. Aggiungete una miriade di personaggi correlati (non tutti e non sempre) tra loro da parentele lontane (quando non lontanissime), molti dei quali non assolvono ad alcuna funzione rispetto alla storia principale (ammesso ve ne sia una). Utilizzate voci narranti in prima, seconda e terza persona. Spargete qua e là elementi soprannaturali, fantasmi, una buona dose di violenza, e chiudete in bellezza con un improvviso, e involontariamente comico, viraggio verso la distopia postapocalittica. A questo punto dovreste avere una pallida idea di cosa sia questo libro che mi sembra possa rientrare a pieno titolo nella categoria dei “romanzi IKEA”, cioè quelli in cui il lettore è chiamato a ricostruire una storia, e possibilmente a cavarne un minimo di senso, avendo davanti i pezzi sparsi di un informe guazzabuglio narrativo, e senza neanche un foglio di istruzioni.

Pur salvando qualche capitolo (sostanzialmente quelli della sottotrama che riguarda Chloe), non sono riuscito a trovare alcun tessuto connettivo in grado di tenere le fila di questo delirio, né a capire come si possa pensare di supportare idee narrative così confuse e traballanti ricorrendo a trucchetti formali che non hanno più neanche il pregio dell’originalità. È evidente che la speranza recondita di chi scrive questo genere di pastrocchi è che, distrutti dalla fatica, alla fine si abbia l’impressione di aver letto un’opera complessa e profonda. Purtroppo, quasi sempre, il prodotto è solo un libercolo confuso, mal pensato e peggio scritto.

Come questo.

#fallabreve: La domanda non è: “chi è?”. La domanda è: “pecchè”? (cit.)

Tutto il nostro sangue di Sara Taylor
Titolo originale: The Shore
minimum fax, 2016 (2015)
Traduzione di Nicola Manuppelli
pp. 337
€ 18,00 (eBook € 9,99)

La mia valutazione su Goodreads:

È giusto obbedire alla notte di Matteo Nucci

Ecco un altro esempio di “libro IKEA”, dove la distruzione della linea temporale e l’alternanza delle voci narranti tentano di dar corpo a un intreccio che è, al di là dei colti riferimenti classici, non saprei dire se più retorico o furbo. I suoi elementi costitutivi, infatti, sono i seguenti:

1) una bambina affetta da una malattia incurabile, anche se mai menzionata (cfr. Ultima neve di primavera);

2) un padre-eroe che lascia il lavoro (come campa?) per studiare articoli e tomi scientifici alla ricerca di una cura per la figlia a cui nessuno, fra medici e scienziati, ha mai pensato e che, in ultima analisi, si concretizza nella spremuta di limone (cfr. L’olio di Lorenzo). Per inciso il suddetto padre-eroe è anche marito di una donna con problemi psichiatrici che, a un certo punto, abbandona sia lui che la figlia;

3) la morte della sfortunata bambina e la conseguente fuga del suddetto padre-eroe dal mondo borghese nell’universo degli emarginati che abitano le rive del Tevere (cfr. La leggenda del re pescatore);

4) la speranza di una nuova vita assieme a una prostituta redenta (cfr. Irma la dolce o Pretty woman).

Frullate il tutto, spruzzate con abbondanti dosi di retorica a buon mercato, e avrete come risultato questo orribile, pretenzioso e noiosissimo pasticcio.

Se poi non dovesse bastarvi questa sintesi così corriva, vi rimando alla bella recensione di Morena Marsilio che stronca il romanzo con una competenza e un’eleganza a cui io non potrò mai arrivare e che, comunque, sottoscrivo parola per parola (la trovate qui).

#fallabreve: È meglio obbedire all’oblio. Perenne.

È giusto obbedire alla notte di Matteo Nucci
Ponte alle Grazie, 2017
pp. 363
€ 18,00 (eBook € 10,99)

La mia valutazione su Goodreads: